venerdì 18 novembre 2016

John’s Delight (Tadd Dameron)

 Su Tadd Dameron, quieto eroe del jazz moderno la cui importanza si è mostrata con il passare degli anni, ho detto quello che avevo da dire qui.

 John’s Delight è una composizione di 32 battute in forma AA’, dunque senza bridge, dove gli assoli si svolgono sulla sola sequenza  A; la A’, che prevede anche un break di due battute, riempito la prima volta dalla chitarra e la seconda dalla batteria, torna solo come outchorus. Il terzo chorus, dopo gli assoli di chitarra e di trombone, è stupendamente arrangiato omoritmicamente per la front line al completo; singolare, quasi minaccioso, è anche l’assolo di piano che segue, in cui Dameron trae ottimo partito anche dalle sue modeste doti di pianista, quasi parodizzando con un’ostentata flatted fifth il lessico bebop. Nota anche la bellezza delle otto battute di intro e come da lì, con soluzione insolita di arrangiamento, la chitarra si unisca ai fiati nell’esecuzione del tema.

 Il John del titolo immagino che sia il chitarrista Collins, presente come chitarrista ritmico in tanti dischi, soprattutto di Nat King Cole, e che qui dà una bella prova da solista.

 John’s Delight (Dameron), da «Strictly Bebop», Capitol M-11059. Miles Davis, tromba;  J.J. Johnson, trombone;  Sahib Shihab, sax alto; Benjamin Lundy, sax tenore; Cecil Payne, sax baritono; Tadd Dameron, piano; John Collins, chitarra; Curley Russell, contrabbasso; Kenny Clarke, batteria. Registrato il 21 aprile 1949.

8 commenti:

tafuri ha detto...

Si, sul decennio 43-53 andrebbe scritto un librone. C'è stata un'accelerazione in avanti e nel contempo un consolidamento di forme e strutture, non direi nel segno della tradizione, quanto più della consapevolezza che non si era ancora esaurita la miniera d'oro che avevano scoperto i grandi artisti di quel momento. Anche il fatto che non sia diventata un'era mitica, come i '60, lo interpreto più come una conseguenza del fatto che non c'era tempo da perdere in operazioni di superficie, speculative, ma continuare a scavare, rimanendo fermi. Poi è arrivata l'ossessione per il 'something new', che ha portato un'altro tipo di spinta, vitale certamente, ma anche più attenta al 'mondo'. No?
Bello parlare di jazz.

tafuri ha detto...

...dimenticavo, sottolineerei il solo di J.J. Johnson, perlaceo e 'storico' come il latino.

Jazznica ha detto...

'Non c'era tempo da perdere.' Mi piace assai questo punto di vista, è come se desse un nome alle mie insoddisfazioni rispetto al contesto attuale... Potrebbe pure essere un ottimo titolo per un approfondimento!!!

Buona giornata e buonissimo jazz, nel pomeriggio.

loopdimare ha detto...

"Non c'è tempo da perdere" mi sembra il motto del jazz sin dalle sue origini: una lunga corsa, persino troppo veloce e cannibale, per raggiungere la modernita classica rattrappita. operazione riuscita.

loopdimare ha detto...

Appena parte mi sembra di sentire Johnny Dorelli "lalalala che felicità, quando dolcemente tra le braccia ti terrò" ma è una suggestione che sparisce subito.

Marco Bertoli ha detto...

Ahaha, anch'io ogni tanto colgo queste "visions fugitives" nei posti musicalmente più implausibili; questa canzone di Dorelli non me la ricordo e ora dovrò cercarla.

Marco Bertoli ha detto...

@Jazznica: nel jazz come in altre cose, l’impressione oggi è piuttosto che stiamo tutti bidding our time: in attesa di qualcosa, non si sa che cosa, un po’ con trepidazione e un po’ con pura sfiducia.

loopdimare ha detto...

la canzone è Boccuccia di rosa, scritta da un jazzista (guarda cas0): Gigi Cichellero.