giovedì 22 settembre 2016

West Indian Blues (Fletcher Henderson)

 Perché tu non pensi che mi sia votato intero all’attualità jazzistica, ti riporto oggi ai lucori aurorali del jazz orchestrale, nel 1923, con questo settetto di Fletcher Henderson dal nome che più d’epoca non si può, «Seven Brown Babies» (ma erano in otto).

 Il pezzo è datatissimo come tutto o quasi lo Henderson degli anni Venti, ed è tutt’altro che un capolavoro ma è interessante. A dispetto del titolo non è affatto un blues ma ha una forma, molto grosso modo, di ragtime, la cui struttura variativa Don Redman adopera con fantasia, con uno strain già caratteristico di sax e clarinetto in armonia, un rilievo insolito del sax baritono, suonato da Redman stesso e adoperato in cadenzine di raccordo, e un assolo di Coleman Hawkins nello stile slaptongue di cui in seguito si vergognerà, ma in cui già s’intraode il suo suono caratteristico. Virtuosistico il lavoro di Howard Scott alla cornetta.

 West Indian Blues (Williams-Dowell), da «Fletcher Henderson And His Orchestra 1923», Chronological Classics 697. Howard Scott, cornetta; Teddy Nixon, trombone; Edgar Campbell, clarinetto;  Don Redman, sax alto e baritono; Coleman Hawkins, sax tenore; Fletcher Handerson, piano; Charlie Dixon, banjo; Kaiser Marshall, batteria. Registrato nell’ottobre 1923.

2 commenti:

LUIGI BICCO ha detto...

Incantevole.
Purtroppo conosco così poco la musica degli anni '20 che a me ha ricordato semplicemente i tipici brani di accompagnamento degli episodi in bianco e nero del Popeye di Dave Fleischer (ma lì ci stava bene qualsiasi basetta ragtime).
Se dovessi azzardare un paragone un po' più serio, invece, mi ha ricordato molto da vicino un pezzo di Lonnie Johnson (ma non ricordo esattamente quale).

Comunque pensare che Hawkins qui avesse solo 19 anni, fa un po' impressione. E ne aveva solo 17, quando ha iniziato a collaborare con l'orchestra di Henderson. Tra le altre cose condividendo, come ben saprai, il palco con Louis Armstrong più vecchio di lui solo di un paio d'anni (ne sono cresciuti di geni, sotto la direzione del pianista).

Marco Bertoli ha detto...

Fu una vera scuola, per alcuni anche in senso accademico, perché con Henderson bisognava fra l'altro leggere bene a prima vista. E per Lester Young fu una scuola crudele: lui vi arrivò che già leggeva benissimo, ma Henderson voleva farlo suonare come Hawkins, e lo costringeva ad ascoltarne i dischi di prima mattina, appena sveglio (la cosa per fortuna non funzionò affatto).