domenica 25 settembre 2016

Ornithology (Brad Mehldau & Joshua Redman)

 Dei due virtuosi qui duettanti in Ornithology, Joshua Redman è sicuro di sé e con ogni evidenza compiaciuto dei tratti di grande bravura che ne compongono il bagaglio e che esibisce con elegante, esercitata sprezzatura.

 Brad Mehldau fa cose altrettanto difficili, anche molto di più, ma con l’aria di sottoporsi a un percorso a ostacoli anche rischiosi, lì allo scoperto (è un’esecuzione in concerto del 2011). L’impressione che io ne ricavo è che, simile a Lennie Tristano in certi piano solo dal vivo in Europa a metà anni Sessanta, Mehldau stia sperimentando in diretta cose che non aveva mai provato prima, ponendosi uno dopo l’altro problemi tecnico-espressivi via via più impegnativi.

 È una prova di bravura, musicalità, integrità, infine di maestria impressionante e che non cessa un attimo in nessuno dei sei lunghi pezzi di questo disco. Io poi, come sempre con Mehldau, resto un po’ freddo, ma perché devo avere un citofono al posto del cuore (o le pigne in testa, o un manico di scopa chissà dove).

 Come tutte le apparizioni di Mehldau su Jnp, anche questa è dedicata alla sua più convinta fan italiana, Luciana, che potrebbe anche fare uno sforzo e scriverci un guest post.

 Ornithology (Parker), da «Nearness», Nonesuch 7559-79456-0. Joshua Redman, sex tenore; Brad Mehldau, piano. Registrato nel luglio 2011.

3 commenti:

Paolo il Lancianese ha detto...

Una volta mi sono invischiato in una discussione a proposito di Mehldau. Io sostenevo che lui è bravo, sì, ma che ascoltandolo non riesco mai ad emozionarmi. Fui trattato da ignorante, quale effettivamente sono. Ma a me continua a succedere questo. E che ci posso fare?

Marco Bertoli ha detto...

I una volta, ancora molti anni fa, avevo scritto da qualche parte che, sentendo improvvisare Mehldau mi veniva da chiedere scusa perché ero entrato nella stanza sbagliata. È un musicista di superiore talento con un interesse secondo me modesto o scarso a comunicare; o forse semplicemente non suona per noi.

loopdimare ha detto...

Ho ascoltato molto dei piano solo pubblicati recentemente e ho avuto l'impressione di un musicista molto più immerso nella musica classica (ammesso che sia il termine giusto) rispetto anche a Jarrett che, magari solo come riflesso inconscio, qualcosa legato al jazz (o forse al gospel ancestrale) ha ancora.
Brad mi sembra un limpidissimo pianista che prende il jazz come fosse un tassì per andare nei posti più solitari della sua mente.