sabato 26 settembre 2015

Take The “A” Train – Land’s End (Clifford Brown & Max Roach)

 Credo si debba all’indole insolitamente estroversa e apollinea di Clifford Brown, associata a quella metodica, raziocinante di Max Roach, se i pezzi incisi dal quintetto Roach-Brown esorbitano lievemente dalla temperie hard bop che nel 1955 era già definita.

 Come per le più o meno contemporanee prove di Horace Silver, qui si avverte una dimensione espressiva più distesa, meno urgente e allo stesso tempo più consapevole, nelle esecuzioni e soprattutto nella scelta di repertorio (non pochi standard, Take the “A” Train, Stompin’ At The Savoy, Sweet Georgia Brown, Cherokee) e negli arrangiamenti, a tratti perfino curiosamente leziosi o arcaizzanti: vedi in Train l’effetto «treno» in apertura e chiusura.

 In queste due esecuzioni molto note figurano magnificamente anche Harold Land, autore di Land’s End dal melodiosissimo e disallineato bridge, e soprattutto Richie Powell.

 Take The “A” Train (Strayhorn), da «Clifford Brown - The Quintet», EmArcy EMS-2-403. Clifford Brown, tromba; Harold Land, sax tenore; Richie Powell, piano; George Morrow, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il 23 febbraio 1955.

 Land’s End (Land), id.

5 commenti:

loopdimare ha detto...

Che non sia un disco Blue Note potrebbe forse spiegare l'atmosfera più pacata. Ho avuto spesso l'impressione che in certi momenti Blue Note fosse una specie catena di montaggio dell'hard bop.

Jazz nel pomeriggio ha detto...

La Blue Note era diretta da Alfred Lion (e all'inizio da sua moglie Lorraine) che aveva idee chiare e precise sul jazz e sulla maniera di registrarlo, confezionarlo e venderlo; per questo riunì intorno all'etichetta un gruppo nutrito di musicisti che ricorrono in tanti dischi e che hanno dato una certa unità estetica al catalogo, il che non è un male, anche se ha prodotto un certo numero di dischi con un'aria un po' di routine. Una cosa non diversa ha fatto Eicher con la Ecm.

loopdimare ha detto...

le cose migliori sono però venute dai gruppi stabili tipo quelli di Silver, Blakey ecc.

Jazz nel pomeriggio ha detto...

Ho un debole per lo «stile Blue Note» anche quando risulta un po’ formulare; mi piace (fra l'altro) il suono caldo, di legno, con cui Van Gelder riprendeva il pianoforte. Ma secondo me alcuni dei BN più memorabili sono della metà anni Sessanta, quei dischi avanzati senza essere "free" di Tony Williams («Spring», «Life Time»), Sam Rivers, Grachan Moncur III, alcuni di Hutcherson, naturalmente «Out To Lunch», l'incredibile «The Empty Foxhole» di Ornette, che non so quale altra etichetta affermata di jazz avrebbe voluto produrre nel 1966.

loopdimare ha detto...

praticamente ti piacciono i dischi meno Bluenoted...